Il racconto del Grande Fiume

IV. Il Po nel Medioevo


Con la caduta dell’Impero Romano il sistema viario decadde ed aumentarono i rischi del trasporto via terra, per cui il Po ed i suoi affluenti acquistarono grande importanza come vie di comunicazione fluviale; nel contempo non furono però più eseguiti lavori di manutenzione degli argini, si avevano numerosissime rotte e vaste zone tornarono ad essere paludose. Cassiodoro documenta comunque l’esistenza nel VI Secolo d.C. di un servizio di posta da Ravenna a Cremona lungo il Padus 1, il che testimonia la sopravvivenza del percorso territoriale che si appoggiava all’argine del Po, probabilmente a quello sinistro.

 

La grande piovosità dell’alto Medioevo, documentata anche dal “Diluvium” descritto da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum2 (nel libro III, così scrive all’inizio del capitolo 23: “Eo tempore fuit aquae diluvium in finibus Venetia rum et Liguriae seu ceteris regionibus Italiae, quale post Noe tempore creditur non fuisse. […] Destructa sunt itinera, dissipatae viae, tantumtuncque Atesis fluvius excrevit”, testimoniando l’entità del cataclisma), provocò la scomparsa dei rami secondari a favore del Po di Volano, e la perdita di efficienza del ramo di Voghenza, forse già in decadenza; si trovano riscontri di questi sconvolgimenti climatici anche nei recenti studi sui ghiacci della calotta polare (ricerche di Strotber e Rampling).

Perse progressivamente importanza l’Eridano, chiamato da Andrea Agnello fin nel IX Secolo “Padus Vetus”, testimoniando l’avanzata involuzione di questo ramo già nell’800 d.C., forse frutto degli sconvolgimenti climatici del VI Secolo. Acquisì quindi d’importanza il Po di Volano, tanto da essere più volte nominato in documenti del X Secolo come “Padus Maior” o “Pado Maiore”.

Per quanto riguarda l’origine del Po di Primaro, si può soltanto affermare che è meno certa. Secondo Flavio Biondo3, che riportò la notizia dal Liber Pontificalis ecclesiae ravennatis di Andrea Agnello, nel 709 d.C. per volere dell’Arcivescovo di Ravenna Felice venne effettuato il taglio dell’argine destro del Po, poco a monte di San Giorgio, in modo da allagare i territori a Sud di Ferrara, e difendere Ravenna dalle truppe imperiali, dopo che la città si era ribellata all’Imperatore. Sebbene non vi sia traccia di tutto questo nella versione del Liber Pontificalis a noi pervenuta, è possibile che il Biondo ne  abbia avuto a disposizione una versione più completa ed ampia, visto che Agnello era un autore molto conosciuto a Ferrara al tempo in cui scrisse Flavio Biondo.

È però improbabile che nell’VIII Secolo si sia provveduto all’escavazione di un canale così lungo, ma piuttosto alla creazione di una fossa (un canale artificiale) che, una volta tagliato l’argine destro del Po a monte di San Giorgio, mettesse in collegamento il grande fiume con un paleoalveo esistente. Tutto ciò è confermato dalla toponomastica presente lungo il primo tratto del Primaro, in cui ricorre sovente il nome “Fossa”.

Nasce così quello che all’inizio è appunto detto “Po della Torre della Fossa”, divenuto poi il Po di Primaro. In poco tempo, questo acquisisce grande importanza per la navigazione, perché collega Ravenna a Ferrara, e quindi si conduce al Po ed a tutta la Pianura Padana, come documentato da Riccobaldo nella Chronica Parva Ferrariensis4, in cui testimonia anche che, nonostante la rotta di Ficarolo, al tempo in cui scrive (secondo decennio del XIV Secolo) il Primaro è ancora ricco d’acqua.

Negli ultimi secoli del primo millennio, si assistette ad un miglioramento delle condizioni climatiche e quindi ad una rinascita dell’agricoltura. Durante il basso Medioevo, però, si verificò un nuovo cambiamento climatico con un forte aumento della piovosità, provocando dissesti ed allagamenti, favoriti anche dal massiccio disboscamento attuato per reperire legname e per creare aree agricole: per questo furono creati argini più alti e robusti, imbrigliando il fiume in una sezione limitata. Le rotte divennero così molto più dirompenti e distruttrici, specie nei punti in cui l’acqua acquista maggiore velocità, come nella secca curva che, a Ficarolo, il Po di Ferrara compiva verso Sud. Tradizionalmente si riferisce tutto ad un unico evento, la rotta di Ficarolo del 1152, anche se è più plausibile parlare di una serie di rotte in un punto in cui il fiume era molto vulnerabile, senza che si intervenisse in maniera risolutiva sugli argini.

Si attribuisce la rotta ad un intervento umano: nel 1167 il popolo del suddetto paese, nemico di quello di Ruina, taglia l’argine nel Po mentre era in piena, per consiglio di un certo Sicardo, per sprofondare i Ruinesi sott’acqua5.

Qualunque sia stata la causa della rotta (naturale o antropica), il Po trovò comunque un nuovo corso, più breve del precedente e quindi di maggiore pendenza: ad ogni modo non è chiaro se l’acqua si incanalò in alvei o canali preesistenti, oppure se andò ad occupare polesini e zone paludose. L’esistenza di un alveo fossile di una certa dimensione è comunque suffragata dal ritrovamento nei pressi di Pontelagoscuro del relitto di una grossa imbarcazione risalente a prima dell’anno Mille (precedente, quindi, alla rotta di Ficarolo), che denota la presenza al tempo di un fiume o canale rilevante6. Questo nuovo ramo (che in seguito prenderà il nome di Po Grande di Venezia), con una corrente più veloce rispetto a quello meridionale, trasportava una maggiore quantità di sedimenti fino al mare, favorendo una veloce formazione di un nuovo sistema deltizio.

È comunque documentato che dal XII Secolo il Po di Ferrara inizia la sua decadenza, tanto che nel XIV Secolo è già meno importante del nuovo corso a settentrione. Nel ramo di Ferrara la sedimentazione rimase comunque elevata, a causa dell’apporto di detriti dei torrenti appenninici, specie dopo il disastroso allacciamento del Reno a Porotto nel 1526, con l’intento di aumentare il volume delle acque nel ramo meridionale del Po, ma che portò come conseguenza una serie di rotte che impaludarono il Ferrarese meridionale, fino alla definitiva esclusione del Po di Ferrara dalla rete padana attiva nel XVII Secolo.

Il ramo di Venezia, nel contempo, stava velocemente creando una cuspide deltizia che tendeva ad intensificare l’apporto detritico nella laguna: per questo, nel 1604 venne effettuato il taglio di Porto Viro, che spostò la foce del Po più a Sud, salvando la laguna di Venezia dall’interramento. In questo modo però i sedimenti andarono ad intasare gli sbocchi al mare delle grandi bonifiche estensi, così che gran parte del Ferrarese finì sott’acqua.

Oggi il Po di Primaro è un fiume morto, terminando il suo corso a Traghetto vicino all’argine del Reno, deviato nella parte finale del suo corso nella seconda metà del ‘700. Il Po di Volano è stato invece trasformato nel corso del ‘900 in un corso d’acqua canalizzato, navigabile attraverso una serie di chiuse e di conche che sollevano le imbarcazioni dal livello del mare a quello del Po a Pontelagoscuro.

Anche il corso attuale del Po, nato nel XII Secolo, presenta diversi problemi, in quanto l’abbondante sedimentazione all’interno del proprio alveo, oltre che alla foce, ne ha ridotto la pendenza; inoltre la realizzazione di argini sempre più alti ha trasformato il Po un fiume pensile a sezione obbligata, rendendo molto pericolose le piene autunnali, che non possono più espandersi nella campagna circostante, ed anche le non infrequenti rotte, che hanno sovente esiti disastrosi.

 


  1. Cassiodoro, Valium, Edizioni Brepols, Turnholti, 1973, XII.
  2. Paolo DIACONO, Storia dei Longobardi, a cura di Elio BARTOLINI, Edizioni TEA, Milano, 1988.
  3. Blondi FLAVII FORLIVIENSIS, Italia Illustrata Romandiola, 1474.
  4. RICCOBALDO da FERRARA, Chronica Parva Ferrariensis, in: Gabriele ZANELLA (a cura di) Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, serie Monumenti, volume IX, Ferrara 1983.
  5. Girolamo SARDI, Historie Ferraresi, 1556, ristampa Edizioni Forni, Bologna, 1967.
  6. Marco BONINO, Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po, Edizioni Longo, Ravenna, 1978.