Ferrara: il Territorio in una Città

VII. Un governo collegiale di Consoli


Dopo la morte di Matilde, la vita politica era organizzata da un gruppo di Capitanei, vale a dire di magnati, per beni e prestigio, e di Consules, rappresentanti l’organismo amministrativo urbano: si trattava, quindi, di un governo collegiale 1. Era un’unione salda che ha avuto la possibilità di rafforzarsi ulteriormente in occasione di altre difficoltà: come nel 1123, quando Papa Callisto II (1060-1124) riconsegnò la Diocesi ferrarese alla dipendenza da Ravenna.

 

Cittadini e Vescovo di Ferrara erano uniti nell’affermare l’autonomia politica della città, in quegli anni di continui stravolgimenti degli equilibri amministrativi e politici, e si rifiutarono, di conseguenza, di pagare al Papa il tributo col quale riconoscevano di dipendere spiritualmente e temporalmente da Roma. Immediata, però, giunse la scomunica e l’interdetto sulla città, così i Ferraresi furono costretti a ritornare sulle proprie posizioni in attesa di tempi più favorevoli.

L’occasione arrivò sotto il pontificato di Innocenzo II († 1143) : egli incoraggiò una riconciliazione tra Ferrara e Roma che diede il via ai primi tentativi di falsificazione di bolle pontificie a favore della Chiesa ferrarese, tendenti a rendere credibili le pretese di una sua indipendenza da Ravenna (è questo, presumibilmente, il tempo di composizione della falsa “Bolla Vitaliana”) e che promosse l’edificazione, nel 1135, su suolo di proprietà della Santa Sede, della nuova cattedrale di S. Giorgio Cispadano, assieme all’episcopio. Infatti, in città arrivarono nuovi abitanti, la popolazione aumentò e si fece sentire ogni giorno più urgente la necessità di spostare il centro cittadino allontanandolo un poco dal denso agglomerato che si stringeva alla riviera del Po, occupandone, in alcuni tratti, il ciglio estremo dell’argine naturale. Inoltre ed in modo graduale, fuori dalla cinta della Via dei Sabbioni si era andato formando un nuovo borgo: il Borgo Nuovo, accentrato nell’odierna Via Cairoli.

Quindi, il Papa e Guglielmo II degli Adelardi, allora Console, si trovarono perfettamente in sintonia: entrambi volevano che sorgesse una nuova cattedrale più vasta e più imponente di quella traspadana, come a sancire l’affrancamento dal giogo ravennate e la prosperità e il prestigio dell’episcopio ferrarese2. La nuova cattedrale non nacque all’interno della preesistente città parafluviale sostanzialmente per motivi di mancanza di spazio, bensì in uno spazio immediatamente fuori della città, a Nord di essa, al di là di quell’antico corso d’acqua diventato fossile, che ora venne interrato completamente stendendovi sopra i sabbioni, che ne trasformano il toponimo in “Via Sablonum3.

Per gettare le basi dell’imponente fabbrica si dovette smantellare un tratto delle antiche difese e demolire parte della fascia costruita tra le odierne vie Mazzini e Contrari.

Essendosi poi reso necessario un cospicuo allargamento per abbracciare una nuova zona, appunto quella del Borgo Nuovo, la tradizione vuole che Guglielmo III Adelardi fortificasse di mura a settentrione la città (cioè verso l’area dell’attuale Corso Giovecca), per creare il nuovo limite dell’accresciuta Ferrara4.

Il trasferimento della cattedrale aprì una nuova fase di sviluppo urbano, in cui la città si proiettava sempre più verso settentrione, facendo della nuova fabbrica il fulcro di un diverso organismo urbano, non più allungato sul fiume, ma articolato attorno a questo edificio. La cattedrale, infatti, richiamerà ben presto attorno a sé la vita politica e sociale del comune5. Così, mentre la fortuna della Chiesa ravennate continuava a declinare, le pievi del contado si scioglievano dai legami fondiari ed ecclesiastici che le vincolavano a Ravenna, per gravitare sulla cattedrale cittadina. Poche persone si preoccupavano di spartire i dazi imposti alle navi in transito e si arricchivano con i proventi dei loro estesi possedimenti. È un quadro autarchico dove i ceti più modesti, quali mercanti, negozianti, piccoli artigiani non riusciranno ad inserirsi nell’attività politica della città e questo anche in epoca di matura autonomia.

Il risultato di una tale situazione si concretizzerà in un passaggio diretto alla Signoria, senza che le varie corporazioni di mestiere abbiano la possibilità di assumere una consistenza di rilievo6. Intanto, però, quando nel 1139 morì il Vescovo Landolfo, Papa Innocenzo II sottopose l’episcopio di Ferrara direttamente alla Santa Sede, riscattandolo dalla soggezione alla ravennate, e, in concordia con i ferraresi, nominò nuovo Vescovo Grifone. Fu così che la Diocesi ferrarese ottenne finalmente la propria agognata indipendenza da Ravenna.

Buona parte del gruppo dirigente ferrarese, tra i quali gli Adelardi e i Torelli, tuttavia, continuò a far parte della Curia Vassallorum: una specie di Consiglio Feudale e di Corte di Giustizia con compiti di amministrazione, i cui componenti erano in genere legati al Metropolita ravennate da vincoli di dipendenza personale7.

 


  1. Ermanno LANZONI, cit.
  2. Guido Angelo FACCHINI, op cit.
  3. Stella PATITUCCI UGGERI, cit.
  4. Augusto VASINA, cit.
  5. Stella PATITUCCI UGGERI, cit. Adriano FRANCESCHINI, cit.
  6. Ermanno LANZONI, cit.
  7. Ibid.